Maternità o Paternità?
Portfolio manager di JP Morgan Asset Management, quattro figli, un viaggio aereo alla settimana, milioni di dollari da gestire e giochi e pannolini da amministrare. Katherine Q. Rosa era in Italia per affari nel dicembre 2006. Alla fine dell’intervista mi spiegò che riusciva a conciliare lavoro e famiglia grazie all’aiuto del marito ma soprattutto alla flessibilità del suo lavoro, che poteva gestire anche da casa.
Il dibattito sulla “maternità” sta vivendo una nuova fase. Dalla Gran Bretagna Nicole Brewer, responsabile della Commissione per le pari opportunità, ha denunciato la trappola che la legge per il concedo di maternità rappresenta per le donne che vogliono fare carriera. E le proposte non mancano. Vanno tutte nella direzione di incentivare i concedi maschili in modo da equiparare le condizioni sul lavoro. In Germania sono stati stanziati 1,8 miliardi di euro per favorire l’ alternanza dei genitori e sono previsti per gli uomini i due terzi dello stipendio (in Italia solo il 30%).
In Germania i padri che fanno le mamme sono 1 su 10 mentre in Italia, dove da sei anni esisite il congedo per paternità, siamo a 4 su 100. Ma siamo sicuri che la strada per permettere alle donne di lavorare e magari fare carriera sia quelle di convincere gli uomini a stare a casa con i figli magari garantendo loro per legge qualche agevolazione? Per legge si possono regolare i congedi parentali e le modalità retributive, ma non credo che si possano regolare anche certi dettagli “naturali”. Una mamma in Italia ha diritto a 5 mesi di maternità (2 prima e 3 dopo la nascita) al 100% dello stipendio. Dopo ci sono altri 180 giorni al 30%. Se una neo mamma volesse tornare in ufficio a 3 mesi del bimbo (per non perdere il treno della carriera), il babbo che la sostituisce a casa dovrebbe anche provvedere all’allattamento (che non credo gli possa essere imposto per legge) oppure dovrebbe raggiungere la moglie in ufficio con il bimbo ogni 4 ore per farlo allattare (ma sui posti di lavoro in Italia non ci sono sale allattamento). Certo si può sempre passare al latte artificiale in barba alle raccomandazioni dei pediatri e dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma questo è solo un esempio. Mamma e papà non sono intercambiabili, almeno nel primo anno di età. Anche se lo si stabilisce per legge.
Forse la strada allora è un’altra. L’ultimo governo Prodi aveva le deleghe (in base alla legge 247/2007) per legiferare in materia di incentivi e sgravi contributivi mirati a sostenere i regimi di orari flessibili legati alle necessità di conciliare lavoro e vita familiare, nonché a favorire l’aumento dell’occupazione femminile; di revisione della vigente normativa in materia di congedi parentali, con l’estensione della durata e l’incremento della relativa indennità; di rafforzamento delle opportunità di lavoro a tempo parziale e di telelavoro e di rafforzamento dei servizi per l’infanzia. I governi cambiano e si riparte da capo. Ma forse poteva essere la strada giusta. Come ad esempio la possibilità per la mamma di chiedere il part time per un anno dopo la nascita del bimbo senza che l’azienda possa negarle questa possibilità (ora la domanda può essere respinta, tranne che per i dipendenti pubblici. “Privilegio” quest’ultimo in via di estinzione come previsto dal decreto 112 di giugno, cosiddetto Brunetta). In Italia i lavoratori part time sono il 13,6% contro il 20,9% di Paesi europei. Senza contare che diversi studi hanno dimostrato che il lavoro part time aumenta la produttività oraria senza aggravio per le retribuzioni e gli oneri pensionistici. Ma la flessibilità può voler dire anche una o due ore di lavoro in meno. In Spagna è stata da poco approvata una norma che agevola la contrattazione dell’orario di lavoro per i neo-genitori. Insomma le soluzioni ci sono, senza dover obbligare gli uomini a fare i mammi.