Crescere qualcuno nell’uguaglianza è uno dei regali più grandi che si possa fare. Certo poi bisogna saperne fare buon uso e non sempre è facile quando si va per il mondo. Impari già a 5 anni che ci sono i giochi da maschi e quelli da femmine. Alle elementari cerchi ancora di giocartela alla pari, alle medie già sai che si è proprio diversi. Poi cresci e pensi che il mondo non farà differenze, perché in fondo, nelle diversità, comunque i risultati a scuola arrivano, anche se impari che le ragazze devono rientrare prima, a volte prendono paghette settimanali più basse perché offrono i ragazzi, guidano meno spesso l’auto perché tanto ti vengono a prendere, e così via.
Nel mondo del lavoro, poi, si fatica a prendere le misure: ci sono quelle frasi buttate lì sul tuo bel faccino o sul fatto che dovresti portare il caffé. Non frasi offensive, ma frasi che vogliono “metterti al tuo posto”, “porre l’accento su ciò che sei e non ciò che fai”. Tu lavori sodo e spesso ti vedi passare davanti tuoi colleghi, ma ti dici che arriverà il tuo momento, che l’importante è far bene il proprio lavoro e qualcuno prima o poi se ne accorgerà. Un cammino che si interrompe bruscamente al primo figlio e che riprendi faticosamente quando rientri dopo la maternità. Se poi i figli sono più di uno vivi una vita professionale a singhiozzo e qualche volta ti perdi i pezzi di ciò che hai costruito negli anni. Intanto i colleghi procedono spediti e quando rientri a pieno regime con i figli avviati fra nido e scuole, la distanza è ormai quasi incolmabile. Le donne, però, sanno che la vita è fatta di discontinuità e non perdono il filo, si reinventano, guardano avanti.
Potrei continuare, ma questa storia le donne la conoscono e gli uomini se la possono far raccontare da amiche, parenti e compagne.
Nella mia vita ho rabboccato il liquido di raffreddamento dell’auto 4 o 5 volte, ho controllato una decina di volte l’olio, legato una marmitta alla carrozzeria per non perderla per strada e cambiato tre volte la ruota dell’auto (due volte non era la mia). E per me l’8 marzo è mio padre, che da quando sono nata non si è mai dimenticato il mazzolino di mimose. E oggi, che ha una figlia a Milano, una a Roma e una a Sidney, non manca l’appuntamento e le ha inviate questa mattina virtuali.