HiTalk-WoW: Dal basket alle startup, come è nato Alley Oop

basket

Mio storytelling in occasione di HiTalk-WoW del 5 marzo in Campidoglio – Roma

Ho iniziato a giocare a basket a 41 anni, dopo 8 mesi dalla mia seconda gravidanza. Non ho mai fatto sport in vita mia tranne atletica alle elementari e qualche comparata sul campo di pallavolo alle medie. In genere refrattaria a ogni tipo di fatica sportiva, ho deciso di presentarmi sul campo di gioco solo perché mio figlio Alessio a 6 anni si è iscritto a basket. Suo padre ha sempre e solo giocato a calcio, come l’80% degli uomini italiani,  e Alessio voleva fare due tiri con qualcuno durante i fine settimana. E poi ho pensato: se vado a vedere le partite dovrò sapere quando indignarmi al fischio dell’arbitro e quando incitare la squadra. E per questo era fondamentale capire le regole.

Dopo quattro anni ho imparato a palleggiare, tirare a canestro, stoppare un tiro e prendere rimbalzi sotto canestro. Ma non solo. Ho imparato che cos’è un coach: qualcuno che sceglie i giocatori, spiega gli schemi e tesse le fila perchè le individualità diventino una coralità. E’ colui che studia il campo, l’altra squadra e le condizioni dei propri giocatori e poi sceglie la strategia. Ho imparato che i coach non si mettono in discussione, anche quando ti sembra che stiano proprio sbagliando. Perché i coach hanno sempre un motivo alla base delle loro scelte. E vi assicuro che per una testarda come me non mettere in discussione scelte e strategie è già di per sé un esercizio particolarmente faticoso. E chi mi conosce lo sa bene.

Ho imparato cos’è una squadra: un insieme di individui che non si sono scelti, ma che si trovano a lavorare insieme per lo stesso obiettivo. C’è quello che ti sta simpatico, ma che non becca mai la palla quando gliela passi. Quello davvero odioso, ma che ti capisce al volo e anticipa la tua intuizione. Quello che è come se non ci fosse, per quanto ti è indifferente, ma che in campo ha il guizzo proprio quando serve. E tu ti trovi a fare i conti con qualcosa che va aldilà dei rapporti personali. Perché in campo si gioca tutti con lo stesso fine: fare più canestri degli avversari. Il resto, tutto il resto, resta fuori.

Ho imparato ad avere un ruolo. E’ il coach che decide dove giochi e come giochi. Può piacerti o meno, ma non puoi scegliere. A volte non comprendi neanche perché ti è stato assegnato quel ruolo. Prendete me, ad esempio: io gioco da centro, sarebbero quelli più alti della squadra che stanno sotto canestro a prendere i rimbalzi. E io sono alta solo 1,70. Ma dopo quattro anni posso dire che è assolutamente il mio ruolo, perchè non è solo una questione di altezza.

Ho imparato che ci sono gli schemi e che funzionano se tutti riescono a muoversi come gli ingranaggi di un orologio. Solo con gli schemi non ci si pesta i piedi e si trovano le compagne quando si passa la palla. Ma allo stesso tempo ho imparato che le partite non si vincono con gli schemi. Le partite si vincono con l’estro, la creatività e l’istinto. Caratteristiche che possono emergere solo se tutto il resto funziona come vi ho raccontato.

Un anno fa, dopo tre anni dal primo canestro, ho giocato il mio primo campionato. E non solo sul campo da basket. Poco più di un anno fa ho dato vita ad Alley Oop – L’altra metà del Sole. E’ un blog multifirma del Sole 24 Ore dedicato alla diversity. Ed è stato esattamente come giocare un campionato. Anzi, tre campionati diversi nella stessa stagione, come dico sempre alla redazione.

Alley Oop è partita da zero e perché diventasse realtà è stato necessario costruire una squadra: scegliere i giocatori, assegnare loro dei ruoli, decidere gli schemi e giocare le partite. E tutto quello che ho imparato sul campo è servito. Ma fare squadra non basta quando si lavora a una startup. Io venivo da un lavoro estremamente individualista, il giornalismo: cerchiamo una notizia, facciamo una proposta, scriviamo il pezzo e poi chiudiamo il pc e andiamo a casa. Con Alley Oop era tutto diverso e lo sapevo dall’inizio. Come fare un corso accelerato di leadership, gestione del personale, costruzione di un team, strategia motivazionale e imprenditoria? Ho fatto quello che so fare meglio, ho fatto domande. Ho intervistato tutte le donne che stimo di più professionalmente e personalmente per imparare da loro quello che non avevo il tempo di imparare sul campo. E tre cose in particolar modo mi sono servite in questo primo anno di Alley.

Comportati fin da ora come ciò che vuoi essere. Non aspettare che altri credano in te, credi tu prima in te stessa. Se volevo essere riconosciuta come la leader di quel progetto dovevo comportarmi come tale, prima ancora di esserlo. E vuol dire avere la visione, costruire la strategia, dare l’esempio e prendersi le responsabilità.

Pensa in grande e non aver paura di sbagliare. E per pensare in grande ti devi circondare delle persone più in gamba che hai l’oppotunità di incontrare: di persona o virtualmente. Perché nessuno di noi può sviluppare tutte le competenze necessarie perché un’impresa abbia successo. Ed è necessario avere l’umiltà di capire cosa ci manca e sapere dove andarlo a cercare.

Puoi dare un’opportunità alle persone ma devi allo stesso tempo dare loro la libertà di non coglierla. Ho un senso innato del gruppo. Saranno le mie origini aquilane: sono un po’ come quei pastori abruzzesi che tendono a riportare le pecore che si allontanano all’interno del gregge. Un istinto al rimanere uniti e saremo più forti. In una startup non funziona così: c’è chi esce dal gregge e devi lasciarlo andare. Perché le startup perdono pezzi nel loro percorso di crescita. Lasciare che gli altri se ne vadano è una forma di rispetto.

Abbiamo chiuso il primo anno di Alley Oop con un team di circa 50 autori, oltre mille post pubblicati, oltre 7mila fan sulla pagina Facebook. Non vi nascondo che qualche pezzo per strada lo abbiamo perso e io sono riuscita a resistere all’istinto da pastore abbruzzese. Il progetto è diventato una startup, che si trova ora a fare un nuovo salto di qualità. Ho solo un rammarico: avessi iniziato a giocare da bambina a basket, forse non sarei arrivata a 45 anni per realizzare una mia idea.

Un’ultima cosa: il nome. Ho scelto Alley Oop, perché è una giocata spettacolare di basket che richiede doto fisiche, capacità tecniche e un grande affiatamento di squadra. Ho una certezza: non riuscirò mai a fare un alley oop sul campo da basket. Ma credo di poter dire che l’Alley Oop fatto in rete con la squadra non è venuto niente male.

  • Daniela |

    Bravissima. Dalla a alla z. Buon 8 marzo

  Post Precedente
Post Successivo