I giudizi dei colleghi sul lavoro sono una questione di genere? A quanto pare sembra proprio di sì. Negli Stati Uniti, dove nelle aziende si usa avere valutazioni non solo dei capi verso il proprio team, ma anche di colleghi di pari grado e di sottoposti nei confronti dei superiori, è stata fatta una ricerca nel settore tecnologico per capire se esista davvero una differenza nei giudizi. E, neanche a dirlo, la differenza c’è non solo nella sostanza ma anche nel linguaggio usato. Basta un esempio: il termine “abrasive” è stato usato in diverse occasioni nel giudizio su donne, mentre non compare mai nei feedback sugli uomini. Sarà un caso?
Dalla ricerca di Kieran Snyder, pubblicata da Fortune, emerge che su un totale di 141 review su uomini solo due sono risultate critiche, mentre 81 hanno ricevuto feedback costruttivi. Al contrario su 107 review di donne, 71 hanno avuto feedback negativi e solo 23 costruttivi. Non solo Fra le donne 94 hanno ricevuto critiche esplicite e solo 13 non sono state criticate affatto, mentre fra gli uomini 83 criticati e 68 no.
Un equivalente di “bossy” in italiano non c’è. In inglese certi concetti sono espressi in modo immediato. In italiano servono giri di parole. La sostanza, comunque, non cambia. Le donne sempre più spesso parlano male delle donne che fanno carriera. Ora, può certamente capitare che qualcuna sia davvero “bossy”, ma non può essere che ogni donna che ha successo sia acida, aggressiva o virago. Eppure ci sarà anche quella che non è proprio una str… Allora perché non riusciamo ad essere felici per il successo delle altre donne? Perché agli uomini riconosciamo il merito, alle donne ne facciamo una questione personale e non semplicemente professionale?
Ma non c’è solo il giudizio negativo a dequalificare le manager. “Quando incontrano me e un collega dopo tempo che non ci vedono, a lui chiedono di quale deal si è occupato a me come stanno le mie figlie”. A raccontarlo qualche giorno fa era una partner di un grande studio internazionale, che ha seguito le maggiori operazioni di ristrutturazione del debito, acquisizioni del settore lusso e quotazioni in Borsa. E non è una cosa rara. Magari l’interlocutore pensa di dimostrare così attenzione alla persona e invece indirettamente la dequalifica professionalmente. Un po’ l’equivalente del fatto che gli uomini siano chiamati dottori e le donne signorine.
E’ stato significativo, ad esempio il caso dell’astronauta russa Yelena Serova che in conferenza stampa si è sentita chiedere come avrebbe fatto ad acconciarsi i capelli una volta in orbita. Serova ha dovuto rispondere con un battuta: “Posso fare io una domanda? Non siete interessati alle acconciature dei miei colleghi?”.
Amal Alamuddin, neo moglie di George Clooney, si vede definita dalla stampa per quest’ultimo evento (il matrimonio) della sua vita privata piuttosto che per i titoli professionali. Il fatto che abbia due lauree in legge, diversi premi, parli svariate lingue e lavori costantemente con le Nazioni Unite sembrano aspetti di secondo piano. Lei è la moglie di Clooney, anche quando si parla del suo lavoro, come in questo titolo: “George Clooney’s fiancee rejects Un request to investigate Gaza conflict”. A un che di ridicolo, anche giornalisticamente.
Il Guardian a riguardo ricorda l’episodio di una pilota che sentito un passeggero esclamare “Non volo con una donna al comando”, lo ha fatto scendere dall’aereo prima del decollo. Che il passeggero abbia imparato la lezione? E noi?