“Mad Men” targato 2014 s’intitolerebbe “Mad Women”

Don Draper è il passato. Il presente del mondo della pubblicità è Peggy Olson. Se fosse ambientato nel 2014 il famoso telefilm “Mad Men” dovrebbe cambiare titolo in “Mad Women”. Con la nomina di Kristen Cavallo a presidente della Mullen Boston il mese scorso, le donne hanno fatto poker. Le quattro maggiori società di pubblicità di Boston sono, infatti, guidate da altrettante professioniste. Alla Cavallo (45 anni) si aggiungono Barbara Goose (44 anni) alla guida di DigitasLBi, Karen Kaplan (54 anni) ceo e presidente di Hill Holliday e Pam Hamlin (49 anni) global president di Arnold Worlwide.

Le nomine non sono state il frutto di quote di genere o di una moda ritenuta trendy. Le quattro professioniste sono riconosciute come preparate, capaci e in grado di assicurare alle società fatturati interessanti. “Dico alle donne di non pensare al fatto che sono donne, ma di fare semplicemente al meglio il loro lavoro” è solita dire Goose. Eppure ai suoi esordi, una ventina di anni fa, si è trovata in mano il decalogo dell’abbigliamento femminile da adottare in ufficio: nessun colore squillante e gonne non più corte di tre pollici sopra il ginocchio.

Kaplan, che ha percorso tutto l’iter da receptionist a manager responsabile di oltre mille dipendenti, sottolinea spesso come le donne della sua generazione abbiano evitato di mettere la foto dei loro figli sulle scrivanie. Poteva essere un segnale di poca devozione al proprio lavoro: “Poteva essere la scusa per tagliarti fuori dalla corsa per qualche carica” suole ricordare.

Cavallo, dal canto suo, ha sradicato con il proprio esempio uno dei cardini del buon manuale per fare carriera: si può anche dire di no per ragioni di famiglia. Quattro anni fa la Mullen le offrì il posto da chief strategy officer. Lei rifiutò e rimase senior vice president alla Martin Agency di Richmond per non sradicare la propria famiglia. In quell’occasione riassunse la scelta con la frase: “I’ve goto ne shot to raise a good child. There will be other jobs”. Tre mesi dopo la Mullen entrò nel novero delle “most Innovative” companies redatto da Fast Company magazine. Il ceo, Alex Leikikh, sentì però di non meritare il titolo visto che non aveva trovato una soluzione per attrarre un talento come Cavallo. Tornò allora dalla manager con una nuova offerta che potesse permetterle di conciliare il lavoro con le esigenze della famiglia. Così Cavallo lavora tre giorni a Boston e due da casa a Richmond, perché, ha dichiarato Leikikh “dobbiamo trovare una via per fare questo lavoro in un modo più moderno”. Tre anni dopo, con lo stessa organizzazione del lavoro, Cavallo è stata promossa presidente della Mullen, dopo un incremento del business del 60% e dei dipendenti da 45 a 450. E deve ancora viaggiare avanti e indietro per un anno, prima che il figlio Matt termini la high school come da programma a Richmond.

Hamlin, invece, sbaragliò la concorrenza maschile, e più tecnologicamente preparata, nel 1987, quando l’allora ceo della società Fran Kelly la scelse e decise di farle da mentor per poterle dare la possibilità di una carriera. La manager dirige l’ufficio di Boston dal 2006 ed è global president dal dicembre scorso.

E le quattro manager non sono un caso. Le prossime generazioni vedranno un gruppo più nutrito di donne emergere dal momento che, ad esempio, alla Hill Holliday il 50% degli executive è donna e quasi il 50% dei vice president. Alla DigitasLBi la metà dei managing director e il 30% dei vice president è donna. Alla Arnold quasi un quarto delle posizioni di leadership negli Usa è ricoperto da donne, mentre alla Mullen più di mezza dozzina di donne è senior vice president e 25 sono vice president. L’anello debole? La parte creativa. A livello nazionale solo il 3% dei direttori creativi è donna. Le donne controllano la maggior parte degli acquisti familiari e spesso non si vedono rappresentate nelle pubblicità. Forse sta proprio in questo anello debole il problema, ancora!