“Non credo di dover sottolineare come scollature e tacchi a spillo siano inadeguate all’abbigliamento da ufficio (al di fuori di qualche ridicolo telefilm sugli avvocati), vero?”. A chiederlo è l’autore del memo “Ethics, professionalism and course requirements for off campus externs” scritto per la Loyola Law School di Los Angeles. L’autore ritiene, comunque, necessario sottolineare che “la community legale di Los Angeles è piccola e giudici e avvocati che hanno esperienze “poco professionali” con esterni, parlano poi liberamente fra loro raccontandosi quanto vissuto. E questo può essere molto imbarazzante”.
Il memo della Loyola Law School nasce dalle lamentele ricevute dai supervisor degli studenti in stage. Evidentemente le lamentele riguardavano solo le studentesse, dal momento che le indicazioni sono rivolte solo a loro (a meno che non si voglia intendere che certi neo avvocati usino girare su tacchi 12 fra i corridoi dei tribunali, il che forse potrebbe generare chiacchiere in qualche tradizionalista). Quello che ha infastidito i commentatori statunitensi è stata l’equazione abbigliamento-giudizio professionale. Una donna che indossa tacchi a spillo non può essere un buon avvocato. Non esiste, invece, un giudizio equivalente per gli uomini.
C’è poi chi ha osservato come i messaggi dati alle donne spesso siano contrastanti. “Look good, but not too good”. Certo, perché secondo una ricerca di Daniel Hamermesh, autore di “Beauty Pays: why attractive people are more successful”, le donne più attraenti guadagnano in media il 10% in più all’anno di quelle considerate meno belle. Allo stesso tempo uno studio condotto in politica nel 2006 dall’Università di Helsinki ha dimostrato come i candidati più belli siano considerati più competenti e degni di fiducia.
Già nel 2012 una ricerca pubblicata dal Journal of Applied Physiologyaveva dimostrato come le buste paga sono più ricche se sono destinate a dirigenti di bell’aspetto, che arrivano a guadagnare fino al 13% in più dei colleghi meno avvenenti. Lo stipendio sarebbe quindi direttamente proporzionale all’aspetto fisico più che alle competenze o all’esperienza maturata. A far crescere la retribuzione di un dirigente avvenente sarebbe la sua autostima e la capacità di attirare consensi, un’arte da non sottovalutare in ambito lavorativo. Lo studio, però, riguardava gli uomini, non le donne
Poi è arrivata la Harvard Business School, invece, che ci ha raccontato come paghi di più il ricorso al dressing-down. Maglietta e tuta possono dare, paradossalmente, un aria di maggior competenza. Un po’ come Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), quando ha iniziato a presentarsi alla comunità finanziaria e negli incontri ufficiali con l’ormai famoso maglioncino blu al posto della giacca e cravatta. Risulta, infatti, più facile, secondo lo studio, conformarsi ad un codice di abbigliamento per essere accettati che non rompere le regole. Chi esce dagli schemi, quindi, dà il segnale implicito di poterselo permettere.
Il test, peraltro, è stato fatto proprio nelle vie dello shopping di lusso a Milano. Chiedendo un parere su quale fosse l’opinione che i commessi dei negozi avevano di quanti entravano in tuta o comunque in abbigliamento informale, la risposta è stata di una maggiore fiducia in se stessi e una maggiore disponibilità economica.
Ma allora come conviene vestirsi sul lavoro? Quali sono le regole non scritte a cui attenersi per far valere la propria competenza? Non conosco la risposta, ma mi viene in mente una donna che sa come farsi ascoltare: non un filo di trucco, pochi gioielli, maglioncino, pantaloni e a volte calzettoni a strisce. Non sarà un gran modello fashion, ma certo sa come essere se stessa. E forse alla fine, scollatura e tacchi a spillo o tuta da ginnastica… il segreto è solo saperli portare.