Ma come hanno fatto gli uomini ad entrare come neofiti per decenni nei consigli di amministrazione, anche di società importanti, senza fare un corso per prepararsi? Questa la domanda che mi è venuta in mente ieri ascoltando la lezione di Mario Pellizzari al corso In the boardroom. Poi, avendone conosciuti diversi per lavoro, mi sono data una risposta da sola. Certo è che le donne se potessero fare un corso universitario e leggere almeno una dozzina di libri al mese lo farebbero per sapere tutto, ma proprio tutto, e per essere preparate a qualunque evenienza…anche all'ingresso in azienda di un socio alieno o di una quotazione della società su Marte.
Dalla giornata di ieri abbiamo iniziato a portarci a casa alcuni concetti fondamentali. Innanzitutto abbiamo ben chiaro che uno degli sforzi maggiori che le donne (ma tutto quello che scrivo vale anche per gli uomini, naturalmente) dovranno fare, entrando in un board, sarà esercitare il diritto di essere un consigliere indipendente. Nei consigli di amministrazione vale l'hic et nunc, ossia il momento non la traiettoria come invece avviene nella carriera di una persona. E come indipendenti si deve agire nel momento esercitando la libertà di dare il proprio contributo in seno al board rispondendo solo a se stessi. Anche nel caso si sia "rappresentante di interessi di un'azionista, si deve scegliere come agirli quegli interessi" spiega Pellizzari, precisando che la responsabilità delle decisioni è solo del consigliere (come peraltro definito dall'art. 2392 del Codice Civile). Per poter far questo è necessario essere consapevoli che se si è membri di un cda si ha il diritto di starci esattamente come gli altri per la durata della nomina. E di questo diritto bisogna sentirsi forti per poter esercitare la libertà di pensiero e di decisione.
Allo stesso tempo, però, è necessario essere consapevoli che ogni cda ha una sua liturgia, di cui è necessario essere consapevoli e che è necessario conoscere per poter agire in quel determinato contesto. Preso atto di questo si può anche comprendere, ad esempio, come a volte le domande poste non sono rivolte a nessuno in particolare e quindi non è necessario sentirsi chiamati a dare una risposta. Il consigliere non è sotto esame e non deve avere il complesso da primo della classe. Al contrario, quando non si capisce, è meglio porre una domanda in più che una in meno. A volte la soluzione migliore, come suggerisce anche Anna Zanardi ne Il coraggio di essere stupidi, è adottare la strategia dello stupido, che ci può togliere d'impaccio e darci modo di capire meglio.
Anche perché le competenze, certo, sono importanti ma solo perché "sono necessarie per agire i comportamenti", spiega Pellizzari. In realtà, però, la consapevolezza del ruolo va ben oltre le competenze e le conoscenze. E anche in questo il Codice Civile ci viene in aiuto:
"Nell'adempimento dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto gli amministratori devono usare la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: il che non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutti di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione. E' stata conservata la responsabilità solidale di amministratori, sindaci e revisori contabili per i danni conseguenti alle violazioni rispettivamente imputabili, salva comunque la possibilità di provare, trattandosi di responsabilità per colpa e per fatto proprio, di essere immuni di colpa"
Sembra, quindi, che ben più delle hard skills sia necessario sviluppare le soft skills per poter contribuire in modo proficuo al bene dell'azienda, prendendosi le responsabilità di consigliere.