Ma l’eco- non doveva essere il lavoro del futuro?

Parco eolico in provincia di Catania

Eolico

Il taglio dei costi – e dei posti di lavoro – è diventato un fattor comune dei diversi settori industriali, finanziari e di servizi. In settimana non sono mancati nuovi annunci in questo senso e si parla di migliaia di tagli a botta: Sony Ericsson –2mila, Ubs –7.500, Air France –3mila, Qantas –1250 oltre a 500 manager oltre a Yahoo, Atkins e altre società quotate e non in giro per il mondo. A detta di tutti il futuro dell’occupazione era nell’eco-economia. Tanto è vero che l’Ireland’s Electricity Supply Board, ad esempio, in settimana ha annunciato che gli investimenti in green energy dovrebbero portare 3.700 nuovi posti di lavoro nei prossimi cinque anni. Purtroppo, però, non mancano le cattive notizie anche su quel fronte (in questo venerdì 17!).

Bp Solar, società del gruppo British Petroleum, ha annunciato la rifocalizzazione delle attività per una riduzione dei costi: in altre parole il licenziamento di 140 dei 600 dipendenti dello stabilimento a Frederick in Maryland (Usa) e dei 480 dipendenti degli stabilimenti in Spagna (che saranno chiusi).

Anche i cosiddetti colletti verdi, quindi, rischiano il posto nonostante dagli Stati Uniti alla Corea del Sud i governi continuino ad approvare piani di sostegno al settore. Oltretutto proprio il presidente Obama aveva sottolineato che certe professionalità non potevano essere demandate a contratti di outsourcing. Senza contare che la Spagna, secondo le parole del proprio presidente, dovrebbe essere presa a modello della Green Jobs Revolution.

Allora perché anche qui è arrivata la crisi? Proprio in Spagna l’Università Rey Juan Carlos ha realizzato uno studio su dati europei che dimostra come ogni posto di lavoro creato dall’industria delle rinnovabili abbia un costo pari a 2,2 volte quello creato in qualunque altro settore dell’economia. In soldini un impiego nel solare, nell’eolico o nell’idroelettrico creato tra il 2000 e il 2008 in Spagna è costato un contributo di oltre 570mila euro per un totale di 28,6 miliardi di euro, tenendo conto solo dell’extra costo pagato per l’energia proveniente da fonti rinnovabili come stabilito dal governo. A questo si aggiunge un altri 1,1 miliardi di contributi diretti all’industria. Senza contare poi le polemiche sulle inefficienze dell’impiego delle risorse.

La conclusione dello studio è però ben più pesante: i ricercatori parlano di una vera e propria bolla delle rinnovabili. In Italia, intanto, continuano a moltiplicarsi le iniziative di fondi di private equità, società d’investimento e aziende specializzate per l’approvazione e la successiva realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Da noi i numeri sono ancora piccoli, ma gli imprenditori continuano ad assicurare che il settore creerà posti di lavoro, soprattutto al Sud. Con un po’ di pazienza e augurandosi che non si tratti di una nuova bolla, come avvisano gli spagnoli.

  • Gnurant |

    Beh, i due aspetti non sono per forza in contrapposizione.
    I costi alti per posto di lavoro possono essere giustificati da due aspetti: gli alti costi di investimento iniziale e l’alta qualificazione media di chi lavora nel settore “verde”.
    Prova a guardare un sito di una qualsiasi azienda dell’eolico, vedrai nelle posizioni aperte un’altissima percentuale di ingegneri.
    “Sony Ericsson –2mila, Ubs –7.500, Air France –3mila, Qantas –1250” Te lo credo, bancario, tecnologico di consumo e trasporto aereo non sono i settori piú splendenti al momento!

  • Icaro |

    Di bolle economiche ne parlavo ieri con mio fratello ingegnere, concordando sul fatto che quando esce una tecnologia nuova che crea discontinuità con il passato, nascono sempre aspettative ben oltre le più rosee possibilità reali di guadagno, creando bolle speculative che scontano guadagni oggettivamente irrazionali. E’ sempre successo, dalla Compagnia dei Mari del Nord nel ‘700, all’ultimo caso scolastico del Nasdaq nel 2000.
    Di “solare” ed energia pulita se ne parla da 30 anni… forse più, ma mai come in questo momento è sembrata la chiave di svolta per superare la crisi. Eccola: la tecnologia vecchia-nuova “pret a portait”, ottima nel marketing perché immediata (basta sia “verde” anche la benzina diventa ecologica!), discontinua dal marcio tossico del passato (filosoficamente parlando), ed ottimo contenitore di speranze.
    Il mio pensiero è che, grazie alla forte internazionalizzazione ed alla maggiore efficienza, continue bolle si trasferiscono da un mercato all’altro, con grande forza e velocità, e dopo il tragico crollo di quella del mattone impazzito (ma ve li ricordate ancora i sub-prime?), siamo passati alla bolla della green economy: se il ciclo delle bolle poteva essere anni, adesso si è ridotto a mesi.
    E’ il momento di acquistare azioni sulle rinnovabili dunque? Fate pure, ma quando tutti parlano della bolla vuol dire che siamo già ai massimi, ed ad un passo dal nuovo schianto (almeno fino a ieri…)
    Questa volta alla crisi ciclica delle bolle si sono aggiunte le conseguenze disastrose di una gestione finanziaria mondiale senza regole nè controllori, amplificandone i risultati e trasferendoli nella vita reale. Io nel frattempo rimango sempre più scettico sulle prossime prospettive di crescita, e “il peggio è ormai passato” mi pare una gigantesca operazione mondiale di marketing finanziario di quegli analisti che a settembre 2008 davano target price su Fiat a 30Euro, o buy nel settore finanziario e che oggi tentano di rimanere aggrappati con le unghie ai gemelli delle loro camicie.
    L’unico “fin” che mi sentirei di consigliare è “Buon lavoro, fin-chécené”! Icaro, 27enne pessimista.

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