Ultima copertina di Wired
La crisi ha tante sfaccettature e alcune nel marasma di brutte notizie degli ultimi mesi si perdono nelle pieghe delle nostre giornate. Ma c’è un aspetto che mi ha colpito negli ultimi giorni: è il ritorno di moda del senso di vergogna. Come nelle favole di Esopo, ho scelto tre protagonisti. Solo esempi di un sentimento molto più diffuso.
Il banker. Una decina di giorni fa durante una conversazione un banker di un gruppo internazionale mi ha raccontato: “L’altra sera ero a cena con persone che non conoscevo e quando mi hanno chiesto cosa facevo nella vita ho avuto un attimo di esitazione prima di rispondere. Alla fine non sono riuscito a dire che lavoro per un gruppo bancario e sono restato sul vago, dicendo che mi occupo di consulenza per le imprese”. Ha anche sottolineato che in passato non si era mai trovato in imbarazzo a parlare del proprio lavoro. Ma il male oggi è rappresentato dalle banche e chi ci lavora, lavora per il nemico secondo il sentire comune. Tanto che quando pubblicammo sul sito del Sole 24 ore un articolo relativo all’annullamento dei bonus per i dipendenti di un gruppo italiano, la notizia ricevette ben 74 commenti e non certo dei più lusinghieri per la categoria.
Il padre. Giulio ha 45 anni. Da oltre 20 lavorava per un azienda di componentistica. Poi è arrivata la crisi e per loro prima che per gli altri. Ed è arrivata anche la mobilità. “Che brutta parola” dice a mezzavoce. Lo stipendio non è più lo stesso e la fine del mese sembra sempre lontana. L’altra settimana poi si è rotta l’auto. Non si può aggiustare. Per portare i tre figli in tre scuole diverse ora ci vogliono quasi due ore in giro sui mezzi a Milano. Ma quello è il meno. E’ fare la fila la mattina davanti alle sedi dell’associazione Pane Quotidiano che è davvero dura. E con lui in coda ci sono il 30% delle persone in più negli ultimi due mesi. Giulio non ha nulla di cui vergognarsi, lui ci prova tutti i giorni a cercare un nuovo lavoro. Eppure guardare la moglie negli occhi la sera non gli riesce proprio.
La donna in carriera. Non ha problemi a tirare la fine del mese, perché in tempi di vacche grasse si è comportata da formiche pur concedendosi la borsa di marca e la vacanza ai carabi. Però essere a casa da sei mesi non è una bella cosa. Quando aveva la sua scrivania, il cellulare e l’auto aziendale, il bonus a fine anno e la segretaria anche gli uomini la guardavano con ammirazione e di solito le dicevano “Tu sei una che arriverà lontano”. Poi un giorno d’autunno il badge per entrare in ufficio non ha più funzionato. Ed è finito tutto. Perché a 35 anni, quando una donna si è dedicata a fare carriera, se il badge non funziona vuol dire che è proprio finito tutto. Allora dove le trovi le parole per scrivere una lettera di presentazione da allegare al curriculum?