A diciotto anni mi sono trovata di fronte al cofano della mia auto aperto. Mio padre accanto: “Controlla che il liquido di raffreddamento del motore nella vaschetta di espansione sia sempre fra il livello minimo e massimo, se scende devi rabboccarlo”. E poi: “Per controllare l’olio prendi uno straccio, pulisci l’astina, poi infilala qui e quando la tiri fuori il livello dell’olio deve essere fra queste due linee”. Perché? “Perché se vuoi guidare l’auto devi sapere come funziona e cosa fare in caso di emergenza” mi disse allora mio padre, che naturalmente mi insegnò anche a cambiare la ruota in caso di foratura. Fu così per l’auto, per il trapano, per la matita da disegno, per le regole del calcio, per la matematica, per la scelta della verdura, per la poesia e l’imbottigliamento del vino. La filosofia di mio padre: ti do gli strumenti e la libertà di usarli, poi il resto sta a te.
Crescere qualcuno nell’uguaglianza è uno dei regali più grandi che si possa fare. Certo poi bisogna saperne fare buon uso e non sempre è facile quando si va per il mondo. Impari già a 5 anni che ci sono i giochi da maschi e quelli da femmine. Alle elementari cerchi ancora di giocartela alla pari, alle medie già sai che si è proprio diversi. Poi cresci e pensi che il mondo non farà differenze, perché in fondo, nelle diversità, comunque i risultati a scuola arrivano, anche se impari che le ragazze devono rientrare prima, a volte prendono paghette settimanali più basse perché offrono i ragazzi, guidano meno spesso l’auto perché tanto ti vengono a prendere, e così via.
Nel mondo del lavoro, poi, si fatica a prendere le misure: ci sono quelle frasi buttate lì sul tuo bel faccino o sul fatto che dovresti portare il caffé. Non frasi offensive, ma frasi che vogliono “metterti al tuo posto”, “porre l’accento su ciò che sei e non ciò che fai”. Tu lavori sodo e spesso ti vedi passare davanti tuoi colleghi, ma ti dici che arriverà il tuo momento, che l’importante è far bene il proprio lavoro e qualcuno prima o poi se ne accorgerà. Un cammino che si interrompe bruscamente al primo figlio e che riprendi faticosamente quando rientri dopo la maternità. Se poi i figli sono più di uno vivi una vita professionale a singhiozzo e qualche volta ti perdi i pezzi di ciò che hai costruito negli anni. Intanto i colleghi procedono spediti e quando rientri a pieno regime con i figli avviati fra nido e scuole, la distanza è ormai quasi incolmabile. Le donne, però, sanno che la vita è fatta di discontinuità e non perdono il filo, si reinventano, guardano avanti.
Potrei continuare, ma questa storia le donne la conoscono e gli uomini se la possono far raccontare da amiche, parenti e compagne.
Nella mia vita ho rabboccato il liquido di raffreddamento dell’auto 4 o 5 volte, ho controllato una decina di volte l’olio, legato una marmitta alla carrozzeria per non perderla per strada e cambiato tre volte la ruota dell’auto (due volte non era la mia). E per me l’8 marzo è mio padre, che da quando sono nata non si è mai dimenticato il mazzolino di mimose. E oggi, che ha una figlia a Milano, una a Roma e una a Sidney, non manca l’appuntamento e le ha inviate questa mattina virtuali.