Le percentuali ci dicono sempre poco e lasciano il tempo che trovano. Le citiamo ai convegni, ci servono come stampella nel sostenere certe posizioni e in qualche modo hanno anche una funzione rassicurante, perché “lo dicono i numeri”. Alla fine, però, restano numeri e questo serve davvero a poco. Prendiamo ad esempio i numeri della ricerca annuale di Grant Thornton. Se la memoria non mi inganna il Grant Thornton International Business Report (IBR), condotto in 36 paesi al mondo, è nato qualche anno fa su iniziativa della divisione asiatica del gruppo. Quando mi capitò di leggerlo le prime volte mi meravigliai di come le donne manager fossero più numerose appunto in Asia (escluso il Giappone) e nei paesi dell’Est Europa. E anche quest’anno il dato è stato confermato: Russia (39%) e Polonia (34%) sono le nazioni con il più alto tasso di presenza femminile nel management e dove il numero di aziende nelle quali le donne sono assenti è il più basso in assoluto. Ma perché è così? E come mai in Italia le regioni con le percentuali di donne più alte nei board sono Umbria e Toscana?
In Italia solo il 15% dei membri che siedono in un consiglio di amministrazione è donna: il dato, sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni, emerge da un’analisi elaborata Grant Thornton su database AIDA-Bureau Van Dijk, su 13.133 aziende italiane con fatturato compreso tra 30 e 500 milioni di Euro. Nello spaccato per aree geografiche emerge che il 61% delle donne che sono membri di Consigli di Amministrazione è nel Nord Italia, il 34% al Centro e solo il 5% al Sud.
Le donne membri di board sono concentrate per il 33% in Lombardia, il 16% in Emilia Romagna e il 12% in Veneto, mentre il Molise si conferma il fanalino di coda con lo 0,04%. Il Piemonte, con l’8,87%, la Toscana, 6,59% e il Lazio, 6,37%, superano la soglia del 5% di donne presenti nei cda, quota non raggiunta invece dal Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige che si fermano rispettivamente al 2,68% e 2,33%. Anche le Marche sono attorno al 2%. Tra l’1 e il 2% si collocano, in rapporto al dato nazionale, la Campania (1,97%) l’Umbria (1,96%) la Sicilia (1,34%), la Liguria (1,27%) e la Puglia (1,11%). In coda alla classifica generale si trovano l’Abruzzo (0,80%), la Sardegna (0,43%) e con i medesimi risultati, 0,11%, la Valle d’Aosta, Basilicata e Calabria.
Un panorama diverso emerge se la presenza femminile nei board si confronta con quella maschile all’interno della stessa regione: l’Umbria, in questo caso, guida la classifica con il 18,76% di donne presenti nei cda. Al secondo posto la Toscana, che, tra le sue imprese fa registrare il 17,70% di donne. Oltre il 16% di quote rosa in Friuli Venezia Giulia (16,93%), nelle Marche (16,62%) e in Piemonte (16,25%). I cda delle aziende emiliano romagnole fanno registrare una presenza femminile del 15,70%, nel Lazio il 15,05% e in Puglia il 14,97% dato migliore di quello della Lombardia (14,82%). Seguono la Campania (14,21%), Sicilia (13,64%), l’Abruzzo (12,55%), la Liguria con 11,74% e la Valle d’Aosta con 11,39%. Vicini alla quota del 10% di presenza femminile nei cda delle aziende della regione in Sardegna (10,46%), Basilicata (10,34%), Molise (9,38%) e Calabria (8,57%).
Qual è il motivo per cui nelle regioni del centro Italia le donne riescono a essere più numerose? Anche i dati diffusi del Dipartimento delle Pari Opportunità relativi ai board delle controllate pubbliche danno un risultato simile. Umbria (16,2%) e Toscana (16,9%) sono fra le regioni con una presenza femminile più alta rispetto alla media (14,7%), non solo nei cda ma anche nei collegi sindacali (rispettivamente con il 26,4% e il 17,6% contro ad esempio il 17,7% nazionale). Umbria e Toscana, poi, sono state, ad esempio, fra le prime regioni a prevedere leggi regionali per la determinazione di quote per la composizione delle liste elettorali. Si tratta, quindi, di una cultura che si sviluppa in diversi ambiti, come dimostra la Guida per progetti di contrasto degli stereotipi di genere a scuola presentata dalla regione Umbria lo scorso anno. O i diversi progetti della regione Toscana e delle province sul linguaggio pubblicitario. Non basta inserire qualche donne in più nei board per fare la differenza. Le azioni da intraprendere vanno dall’educazione ai media, dalla politica all’imprenditorialità.
Ma magari c’è anche altro: secondo voi perché Umbria e Toscana battono le altre regioni?