Su questo blog mi occupo ormai da anni di questioni di genere. Lo faccio da gennaio a dicembre, parlando di politica, finanza, carriera, professioni, pubblicità, sport, e molto altro. Eppure quando arriva l’8 marzo ho sempre difficoltà a scrivere qualcosa. Come per una sorta di pudore. Gli stimoli si moltiplicano a dismisura: notizie, sondaggi, ricerche, studi, iniziative. L’8 marzo è lotta alla violenza o battaglia per la parità di diritti sul lavoro? E’ celebrazione dei traguardi raggiunti o rivendicazioni di opportunità non ottenute? E’ una questione locale o una questione internazionale?
Non lo so, francamente. Per me è il volto delle spose bambine e la manager che viene definita bossy. E’ la lettera di dimissioni in bianco e la pensione non pari a quella del collega dopo 40 anni di carriera in comune. E’ la giovane indiana che ha paura a prendere un bus e la giapponese che non può sollevare lo sguardo. E’ la modella mezza nuda per pubblicizzare uno scaldabagno e il gossip alle spalle della collega che ha fatto carriera. E’ la studentessa 110 e lode che fatica a trovare lavoro e la donna araba cui è vietato guidare.
Scusate allora se ieri non ho scritto nulla, non ho fatto gli auguri alle amiche e non ho postato un mazzo di mimose su Facebook. L’8 marzo lo tengo per me, per quelle riflessioni che durante la corsa di tutto l’anno non si ha tempo di fare. L’8 marzo è il tempo dell’ascolto, della lettura, dell’osservazione. Per poi avere tempo, risorse e stimoli per scrivere e parlare il resto dell’anno dei temi che mi stanno a cuore.
Ho chiesto a mio figlio di 7 anni ieri: Sai perché oggi è la festa della donna?
Mi ha risposto: Sì mamma, perché tanto tempo fa delle donne sono morte in una fabbrica dove venivano sfruttate.
Questa è stata la mia mimosa.