“Le donne hanno scelto di non identificarsi con la parola femminista”. Una visibilmente emozionata Emma Watson ha chiesto ai delegati delle Nazioni Unite quando e perché la parola femminista è diventata così impopolare. E ha raccontato di aver deciso di diventare femminista tanto tempo fa: a 8 anni quando voleva avere un ruolo di primo piano nei giochi e veniva considerata “bossy” mentre i bambini non erano considerati così, a 14 quando i media hanno iniziato a descriverla come un “oggetto sessuale”, a 16 quando la sua migliore amica ha smesso di fare sport per non essere considerata “mascolina”, a 18 quando i suoi amici maschi non potevano esprimere i loro sentimenti.
L’attrice, Hermione Granger in Harry Potter, ha dichiarato di credere fermamente nei diritti delle donne ad essere considerate socialmente uguali agli uomini, nel diritto di partecipare alle decisioni politiche e economiche alla pari degli uomini, nel diritto a decidere del proprio corpo. E ha sottolineato come nessun paese al mondo possa dire che questi diritto sono pienamente rispettati al suo interno. E sono diritti umani, non di genere.
E lei si ritiene molto fortunata perché ha avuto la possibilità di vedersi riconosciuti diversi di questi diritti, mentre la maggior parte delle donne al mondo se li vede negati.
Poi si rivolge agli uomini e li invita formalmente perché l’eguaglianza di genere è anche una loro “issue”. Neanche gli uomini hanno il beneficio dell’uguaglianza. Se gli uomini non dovranno essere aggressivi per essere accettati, le donne dovranno aver paura di essere in pericolo. Se gli uomini non si sentiranno in dovere di controllare, le donne non dovranno temere di essere controllate.
Perdete dieci minuti ad ascoltare questa giovane attrice che parla di gender equality. Non c’è 68ttismo, non c’è contrapposizione, non c’è chiusura. C’è un “femminismo” nuovo, che forse può farci fare pace con una parola così bistrattata.