Una chiacchierata in sospeso da qualche tempo. Finita ieri e forse non a caso. Ho incontrato Roberta Marracino anni fa sul lavoro. Negli anni si e’ creato un rapporto schietto e costruttivo. Di confronto. Ultimamente abbiamo parlato del recente cambiamento nella sua vita professionale: da direttore comunicazione e ricerca di McKinsey per l’area Mediterranea (11 anni) a direttore dell’area studi e comunicazione di SACE, con responsabilità per gli studi economici, la comunicazione interna ed esterna, le relazioni istituzionali e la corporate social responsibility. Oggi guardo a quella chiacchierata con uno sguardo diverso. Da oggi lascio la redazione di Moda24 (e ringrazio le colleghe di quest’avventura per tutto cio’ che ho imparato in questi due anni) e torno nella redazione Finanza&Mercati del Sole 24 Ore. Ritrovero’ colleghi storici e lavorero’ con colleghi nuovi. Cosi’ come gli interlocutori esterni: alcune conoscenze di vecchia data, altre da incontrare per la prima volta. La sfida sara’ quella dell’informazione carta\web e multimediale. Allora, come dice Roberta, che il cambiamento sia un’occasione per rimisurarsi.
Quale sfida ha accettato scegliendo di passare da una societa’ di consulenza a un’azienda?
Credo che la vera sfida, per chiunque inizi una nuova esperienza professionale, sia quella del cambiamento. La natura umana generalmente propende per la stabilità, quindi stimolare o accettare un cambiamento ci mette nelle condizioni di rimisurarci con noi stessi, con una cultura aziendale diversa, con dinamiche organizzative nuove, con persone e colleghi sconosciuti fino a poche settimane prima. Cambiare produce e richiede nuove energie e questo è positivo.
Quali cambiamenti si aspetta dal passaggio da una realta’ internazionale come McKinsey a una realta’, con forte vocazione internazionale, ma strettamente legata al sistema industriale italiano?
L’internazionalità di McKinsey permette alle grandi aziende italiane di accedere alle migliori esperienze e competenze disponibili nel mondo e alle persone che ci lavorano di assorbire una cultura multiculturale fin dal primo giorno. L’internazionalità di SACE ha invece il carattere di una missione, quella del sostegno alle imprese italiane, spesso piccole e medie, che vedono nell’estero una leva importante di crescita. In un certo senso è come aver visto le cose “dal di fuori” e vederle ora “dal di dentro. Si scoprono la varietà e qualità della nostra imprenditoria all’estero, spesso in aree geografiche praticamente sconosciute ai più.
Ripensando alla sua carriera potrebbe individuare un punto di svolta importante? Da cosa e’ dipeso?
Dal punto di vista professionale non credo ci sia stato un momento più importante di altri, vedo il mio come un percorso di miglioramenti progressivi e costanti. Ho cambiato diverse aziende e a ognuna devo qualcosa. La vera differenza nel risultato, nella vita come nella professione, penso piuttosto la facciano le persone che trovi lungo il cammino. Nel mio caso l’hanno fatta mio marito e alcuni miei capi, che intravedevano il mio potenziale con maggiore chiarezza di quanto non vedessi io.
Quali pensa siano le basi necessarie per costruire una carriera nella comunicazione e nella ricerca, come la sua?
Prima di tutto la comprensione dei contenuti, quindi gli aspetti tecnico-economici. Se capisci a fondo i contenuti, sei in grado di interpretare i risultati, comprenderne le implicazioni, articolare suggerimenti e, di conseguenza impostare strategie di comunicazione. Senza i contenuti il comunicatore fatica a diventare un advisor ascoltato da tutti i suoi stakeholder, interni ed esterni. Poi le relazioni, che cementano la professionalità, soprattutto nella seconda fase della propria vita lavorativa. Infine la curiosità e l’attitudine all’innovazione, aiutano a pensare fuori dagli schemi e ad anticipare i tempi.
Qual e’ la soft skill che ha sviluppato nella sua carriera e che si e’ rivelata vincente?
Credo la logica di pensiero e l’indipendenza di giudizio. Non ho posizioni ideologiche o precostituite – né nel rapporto con le mie persone, né con i mie pari livello, né con il mio capo – come del resto un ruolo istituzionale come il mio richiede. Ascolto, analizzo i fatti, osservo i bisogni (non sempre espliciti) di chi mi sta di fronte e cerco di sviluppare una soluzione che medi tra le diverse posizioni. Il più delle volte funziona.
Nell’ottica di un programma di mentoring cosa le piacerebbe trasmettere alla sua mentee?
Poche cose, abbastanza generali, il resto viene dall’esperienza. 1) Distingui tra quello che pensi di desiderare (perché frutto di condizionamenti o spirito di emulazione) e quello che vuoi veramente 2) Considera ogni cambiamento con spirito positivo e come un nuovo punto di partenza 3) Non farti condizionare da situazioni che forse impatteranno sulla tua vita tra 10-15 anni (figli, famiglia, etc.), quando si porrà il problema lo affronterai 4) Sii fiduciosa nelle tue capacità e vai a conoscere il mondo.
Nella sua carriera ha avuto un mentor o una mentor?
Formalmente no, informalmente più di qualcuno ha giocato una parte. Mio marito prima di tutto; P ietro è tuttora il mio mentor (e sponsor) insostituibile, possiede una capacità naturale nel leggere le sfumature umane e nel capire i comportamenti. E’ una grande guida per una persona con un approccio razionale come me.
Quale obiettivo a medio-lungo termine si pone professionalmente?
Avendo appena cominciato una nuova avventura professionale forse è un po’ presto per esprimermi, ho qualche idea, ma direi di riparlarne tra un po’….