Non ho avuto modo di incontrarla personalmente, ma mi hanno sempre parlato di lei come di una donna molto concreta, un’imprenditrice, una persona seria. E quest’ultimo atto della vicenda Mps conferma quanto mi è stato riportato. “Non ho interpretato il ruolo di presidente della Fondazione come una forma di carriera. Il mio è stato un servizio al territorio e la durata di soli otto mesi era stabilita dallo statuto” ha dichiarato domenica in un’intervista al Sole 24 Ore, aggiungendo: “L’esperienza era a termine e dunque è normale che pensi a recuperare pienamente la dimensione imprenditoriale”. Lascia perché non è una “poltronara” (parole sue nell’intervista di ieri al Corriere della sera). Perché crede di “dover recuperare una dimensione personale” e perché “anche la mente deve pensare e non lavorare e basta”.
Quando ho letto l’intervista mi è venuto in mente Platini (non sono juventina!), che lascio a 32 anni quando altri, forse, avrebbero continuato ancora per un po’. Perché i leader devono anche riconoscere il momento giusto per uscire di scena. E d’altra parte è anche un modo di capitalizzare i successi ottenuti. Mansi sarà per sempre la manager che ha salvato la Fondazione Mps in otto mesi, che su un curriculum non è poi da tutti. Ora che ricarichi pure le batterie, e la mente, e che si occupi dell’impresa di famiglia, con la consapevolezza, però, che questo Paese ha bisogno dell’impegno di certi talenti, non solo a livello rappresentativo (Mansi è vicepresidente di Confindustria). Soprattutto dei talenti che non si montano la testa.