Il presidente Obama in gennaio ha ricordato nel suo discorso sullo stato dell'Unione ha ricordato che negli stati Uniti le donne in media guadagnano 77 centesimi ogni dollaro guadagnato dagli uomini. Un cavallo di battaglia che torna nei discorsi politici degli ultimi anni, non solo americani. Lo stesso Renzi nel suo discorso al Senato ha sottolineato: "Abbiamo la disoccupazione femminile più alta d'Europa ed è inaccettabile". Ad oggi, però, restano solo parole, come quelle di Mario Monti (nella riforma del lavoro la parola donne appariva 4 volte) e come quelle di Enrico Letta dopo (magari è mancato il tempo e l'occasione). Ma torniamo al gap salariale. C'è chi contesta la discriminazione come l'economista Matthew Rousu, che ne ha scritto su Forbes lunedì.
Secondo Rousu usare una media matematica, senza considerare gli spaccati per età, educazione, ore lavorate, permessi etc, non è corretto per dimostrare una discriminazione. L'economista ricorda come, ad esempio, le ventenni senza figli guadagnino ben più dei loro colleghi mashi negli Usa: 1,08 dollari ogni dollaro guadagnato da un giovane. Questa è discriminazione verso i maschi? si chiede Rousu. O allo stesso modo esiste una discriminazione verso gli americani bianchi che guadagnano in media il 5% in meno degli uomini asiatico-americani? A suo giudizio parlare di discriminazione è ridicolo, perché le differenze salariali sono date dal tipo di lavoro svolto, dal livello scolastico e da molti altri fattori.
A suo parere la maggior parte della disparità salariale a sfavore delle donne è dovuta alla loro scelta di carriera rispetto agli uomini. Le donne sono più propense a fare le maestre del nido mentre gli uomini a lavorare in finanza. Quindi, conclude Rousu, non si può dire che le società discriminino le donne e il fatto che queste ultime in media guadagnino meno non è da attribuire a una disparità di trattamento. A suo giudizio, quindi, quello che si può fare è stimolare le donne ad aspirare a lavori in cui si guadagna di più.
L'analisi dell'economista mi lascia un po' perplessa. Forse Rousu non è a conoscenza di studi (l'Ue dedica un sito al tema) che non fanno una semplice media matematica fra uomini e donne, ma analizzano la differenza salariale fra colleghi, maschi e femminine, che hanno stessa educazione, stesso livello di carriera e anche stesso numero di figli. E questi studi (italiani e internazionali) dimostrano che il gap salariale esiste anche non di fronte a una riduzione d'orario o una disparità di permessi richiesti per accudire i figli (come lui sottolinea). In questi casi non c'è una differenza di ambizioni o scelte di lavoro, come si giustifica quindi il gap salariale? Da un economista mi aspetto un'analisi meno semplicistica e un atteggiamento a non archiviare un tema globale di disparità con un non esiste.