Quando si vive all'estero c'è la fronda dei nostalgici (che rientrerebbero domani in Italia) e il gruppo ben più nutrito che, pur dichiarandosi orgogliosamente italiani di fronte ai detrattori del paese, vede nell'Italia uno dei posti peggiori dove poter vivere al mondo e ne parla come di una madre degenere che non si è curata dei propri figli. E' capitato anche a me quando vivevo a Londra di passare serate a confrontarmi con connazionali delusi (io facevo parte della fronda) e quindi ho letto con interesse l'introduzione al nuovo libro di Caterina Soffici, giornalista e scrittrice italiana che dal 2010 vive appunto a Londra: Italia yes, Italia no (in uscita il 26 febbraio). Ma è proprio vero che ci si trasferisce sulle rive del Tamigi perché si vive peggio, ma si sta meglio?
I miei ricordi risalgono al 2000, quindi un'era glaciale fa, quando la crisi economica che stiamo vivendo non era nemmeno ipotizzabile. Erano i tempi della new economy, quando Tiscali in Borsa capitalizzava oltre 18 miliardi, più della Fiat. In Italia lavoravo come giornalista a contratto, a Londra arrivai con un lavoro a tempo indeterminato, un residence pagato per il primo periodo e uno stipendio che era pari a quasi quattro volte quello da praticante di allora in Italia. Mi potevo permettere un appartamento (in condivisione con un coinquilino per combattere la solitudine) a Lancaster Gate, tra Oxford Street e Notting Hill proprio di fronte all'italian gardens di Hyde Park. Avevo l'autista che mi veniva a prendere quando facevo il turno dell'alba, la società per cui lavoravo copriva le spese dei vestiti che mettevo per le dirette, in ufficio c'era una cucina da sogno in cui ad ogni ora comparivano portate diverse (compresa frutta e verdura a volontà, che a Londra non costano poco!). Potevo andare al cinema a vedere i film in anteprima senza aspettare il doppiaggio come in Italia, i concerti e gli spettacoli che offriva la città erano da sogno e sempre all'avanguardia, le mostre e le istallazioni sempre originali e di respiro davvero internazionale. Ogni week end si poteva scegliere un ristorante nuovo e diverso in cui cenare e i locali per andare a ballare cambiavano ad ogni stagione. Sull'aereo tornando dai viaggi in Italia potevi sentirti, in mezzo ai turisti, il fortunato che a Londra ci viveva, non ci andava solo per il week end. Perché vi tedio con i fatti miei? Per dirvi che nonostante tutto ho voluto tornare a casa.
Perché, come dice Soffici nella sua introduzione, il sole è raro, la frutta e la verdura non hanno sapore, la pasta al pomodoro non è quella italiana neanche nel migliore dei ristoranti, al bar difficilmente trovi il sorriso del barista che ti saluta e ti dice "il solito". Banale? Forse. Ma se il sabato sera una diciottenne vomita in metropolitana e nessuno si ferma, se nella City puoi sentirti male e rimanere lì, se salendo le scale con il passeggino una mamma non si vede mai offrire aiuto, se i ragazzi per venirti a parlare devono bere almeno 5 birre, se comunque sei sempre lo straniero di passaggio e al massimo sei ghettizzato nel tuo giro da immigrati, allora forse non è il massimo.
Qualcuno obietterà: però c'è lavoro e meritocrazia. Forse, io soprattutto della seconda non ne ho incontrata molta. Tanti dei team leader che ho conosciuto non valevano la metà dei loro collaboratori, ma erano degli ottimi yes-men/women, poco carismatici ma bravi a svolgere il loro compitino e a non dare problemi in un sistema molto strutturato e poco lasciato alla creatività e all'estro personale.
Vogliamo parlare del sistema scolastico? Le mamme iscrivono i bambini al nido dopo la prima ecografia per potersi assicurare un posto e soprattutto poter scegliere la struttura migliore. Perché a Londra è importante avere un percorso scolastico di un certo livello se si vuole accedere alle università migliori e si inizia dal prescuola (l'anno prima delle elementari). E così i genitori si trovano a compilare moduli con credenziali per poter accedere alla scuola migliore del proprio quartiere (se è cattolica e in famiglia avete uno zio prete o una zia suora o la mamma che ha insegnato catechismo avete naturalmente più chance). I bambini a 4 anni iniziano ad imparare a scrivere nel pre-scuola, così a 5 quando debuttano alla primary school sono già preparati. Per non parlare delle attività collaterali: se da noi a 6 anni i bambini iniziano uno sport di squadra per imparare la collaborazione e la socialità o nuoto per lo sviluppo fisico, a Londra si preferisce il club di scacchi o la capoeira.
Che dire: ho preferito tornare in un paese dove sul lavoro non sei solo un ingranaggio di un sistema (pur rinunciando a quasi metà del mio stipendio), dove il giornalaio ti chiede come va e il panettiere sa che cosa compri per i tuoi figli perché non sei solo un portafoglio, dove i pomodori sanno di pomodoro, dove l'infanzia è fatta di giochi, ginocchia sbucciate cadendo in bicicletta e alberi da scalare (perché per le ambizioni e la competizione c'è tutta la vita davanti), dove è difficile trovare un lavoro, certo, ma alla fine ce la si può fare anche senza raccomandazioni.
La cosa che mi ha colpito di più dell'introduzione di Soffici è la chiusa: "Se solo la bilancia tornasse a pendere per il verso giusto, in tanti torneremmo subito. Però bisogna fare presto. Perché la normalità è contagiosa e sento sempre più gente, qui, che dice: "Io non tornerò". Cara Caterina, se si vuole cambiare un Paese non si va via aspettando che altri lo facciano per noi. Se si vuole cambiare si resta e si combatte, con il proprio quotidiano. Come fanno i giovani che al Sud cercano di mettere in piedi un'attività nonostante la malavita, come fanno i laureati che per un lavoro iniziano dalla gavetta alle casse di un supermercato, come fanno le insegnanti della scuola pubblica che danno l'anima perché tutti gli alunni abbiano le stesse possibilità indipendentemente dalla famiglia di origine, come fanno i medici che salvano vite nonostante i tagli alla sanità, come fanno quei politici onesti (e ce ne sono tanti in giro per l'Italia, checché se ne dica) che cercano di mettere le istituzioni al servizio dei cittadini. Non sono esempi demagogici, scrivendo ho in mente visi e voci di persone che sono rimaste e che stanno cercando di creare un Paese migliore. Volete un'Italia diversa? Tornate a sporcarvi le mani e costruiamola insieme.
P.s.: Naturalmente leggerò il libro per conoscere le ragioni dell'autrice!