Se l’università italiana copia la tv e non il MIT…

Grande novità all’Università. Con un comunicato alla stampa oggi l’Università Bicocca di Milano rende noto che il telecomando arriva in aula: “il professore fa una domanda a risposta multipla, gli studenti scelgono quella che ritengono corretta schiacciando il tasto del telecomando abbinato a ciascuna risposta e il software le elabora in forma di grafico, con le percentuali ottenute da ciascuna delle soluzioni”. Dove l’abbiamo già visto? Difficile ricordare la trasmissione ma sono abbastanza certa che questo meccanismo sia stato usato in show televisivi almeno già da 10 anni.

“Lo scopo dello student response system, questo il nome del sistema,  è quello di rendere più dinamica e interattiva la tradizionale lezione frontale” recita la nota, che informa inoltre come nei corsi di Ecologia, della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, e di Patologia generale e Immunologia, della Facoltà di Medicina e Chirurgia questo sistema sia già una realtà. Ma siamo certi che sia questa l’innovazione (e la cultura) di cui gli studenti universitari italiani hanno bisogno?


Dieci giorni da Boston ho scritto un articolo sulle star up nate dalla ricerca del Massachusetts Institute of Technology. Oggi la mail di un ex alunno italiano del MIT che sottolinea come a Boston si respiri anche in università “la cultura dell’imprenditorialità. Ogni studente viene messo a contatto con i meccanismi delle start-up, degli angel investors e venture capital, viene a contatto con chi prima di lui ce l’ha fatta e viene coinvolto in concorsi di business plan. Fra questi ultimi spicca certamente il MIT100k che ogni anno mette a disposizione del migliore business plan 100.000$ per far partire l’idea imprenditoriale”. Ma non è tutto: “Personalmente però penso che, ai fini del raggiungimento dei risultati di cui lei parla nell’articolo, più importante delle strutture sia l’aria che si respira nel campus. Per farle un esempio, parlando con colleghi neolaureati in Italia ho riscontrato che generalmente l’ambizione di un neo-ingegnere è raggiungere una buona posizione in una grande azienda. L’ambizione prevalente del collega proveniente dal MIT è invece fondare e portare avanti una start-up ad alto contenuto tecnologico” scrive l’ex alunno del MIT che ora vive e lavora in Italia.

Lette di seguito le due mail che ho ricevuto mi è venuto un dubbio: non è che con le novità annunciate oggi dalla Bicocca puntiamo più ad alimentare le ambizioni da concorrente televisivo dei nostri laureati piuttosto che l’ambizione da professionista o imprenditore?

  • Francesco Stellacci |

    umh, domanda apparentemente semplice, ma in realta’ complessa.
    Da settembre assumo una posizione di professore ordinario all’EPFL (il Politecnico) di Losanna. E da allora dedichero’ il massimo tempo concessomi a fare il direttore del CEN (centro europeo di nanomedicina) a Milano. Per cui saro’ in Italia molto spesso. Non so se questo e’ veramente un ritorno, ma almeno e’ un avvicinamento serio.

  • Monica |

    Francesco, quando torni in Italia?

  • Francesco Stellacci |

    Io in classe non uso il telecomando, ma mi fermo spesso a fare domande, ed aspetto tanto tempo per dare l’opportunita’ ai ragazzi di rispondere. Le risposte mi aiutano a capire se sto spiegando bene. I telecomando mi permetterebbe di abbattere il ‘muro della vergogna’ che alcuni studenti non oltrepassano mai. Il punto centrale e’ con il telecomando si accende il cervello e si giudica il professore in modo onesto. Lo spirito competitivo che e’ in noi ci porta a cercare la risposta giusta, che e’ un voto di fiducia al professore e gli consente di andare avanti. Se piu’ del 30% (degli spigliati purtroppo) della mia classe mi da una risposta sbagliata io rispiego, e poi rigiro la domanda (cioe’ chiedo la stessa cosa in un altra salsa). Di solito ottengo il 100% di risposte giuste. Se questo non succede, rispiego il tutto la lezione successiva, nel frattempo vado a cercarmi altri modi di dire quello che sto cercando di dire.

  • Luca Tremolada |

    Come ha scritto l’ottimo Stellacci, anche io dissento dalla bravvisima monica. Non è una questioni di strumenti della didattica. Ma di mentalità e cultura. E quella non passa dal telecomando.

  • Monica |

    Ciao Francesco, il problema è se si usano solo i telecomandi!

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