Affascinanti le bolle, quelle che si rincorrono sui prati, che splendono al sole di mille colori e scoppiano con un puff. Un po’ meno, se non per i catastrofisti, quelle che nascono da mercati dopati. Un male inevitabile, antico come la pazzia delle folle. Lo ha raccontato nel 1841 Charles Mackay e lo ha confermato settimana scorsa Alan Greenspan, che alla veneranda età di 83 anni avverte: “Le crisi finanziarie sono tutte diverse, ma hanno un fondamentale fattore originario comenue. E’ l’immutata capacità degli esseri umani. Che vivono un lungo periodo di prosperità, di presumere che continuerà nel futuro”.
Ma dopo la crisi di inizio millennio ci sono ancora bolle in agguato, pronte a scoppiare? O piuttosto avremo un periodo di risacca? Purtroppo spesso ci si accorge delle bolle dal fragore dello scoppio, allora per non abbassare l’allerta meglio prestare attenzione alla top ten delle bolle in agguato, stilata da The business insider.
Al primo posto, neanche a dirlo, ci sono i cinesi: nonostante la crisi il mercato azionario cinese ha registrato un discreto rally quest’anno. Il timore è che a sostenere le quotazioni non siano i fondamentali ma la liquidità statale ricevuta dalle aziende, che in mancanza di progetti reali preferiscono parcheggiarla in Borsa.
Al secondo posto si piazza la bolla “verde”: gli aiuti statali a favore del settore delle rinnovabili e non solo accomunano i paesi dagli Stati Uniti alla Corea. C’è chi afferma convinto “Age of Cleantech and Biotech”, ma in realtà una ripresa economica potrebbe distrarre da questi propositi e riportare la liquidità altrove.
La bolla dell’oro si posiziona al terzo posto. Sono sette anni che il prezzo continua a crescere e recentemente ha rotto il tetto dei mille dollari l’oncia. C’è già chi indica i due mila dollari come target possibile e se sempre più gente vorrà salire sul treno in corsa, c’è da scommettere che si rischia di farsi del male.
Poi c’è la Federal Reserve Bubble, ovvero la bolla del credito che potrebbe essere stata alimentata dagli aiuti della banca centrale americana agli istituti finanziari. Heidi Moore, nel suo The big money, ha sottolineato come la Fed stia creando una bolla simile a quella dei muti subprime che sta cercando di controllare. Si parla di 1,25 trilioni di titoli con subprime come sottostanti. Ma se la Fed finisce nei guai chi la salverà?
Il quinto posto spetta alla bolla dei titoli spazzatura. Gli esperti faticano a spiegare la corsa di certi titoli junk, tra cui mettono Fannie, Freddie, AIG, Citi, Bank of America e GM. Il sospetto è che ci siano i piccoli investitori a caccia dell’occasione per far soldi.
Strano a dirsi, ma esiste anche una bolla dlel’educazione. Molte persone, perso il lavoro, sono tornate sui banchi per ripartire con una nuova qualifica professionale a volte contraendo debiti ingenti per pagare rette di università e master prestigiosi. Lo scorso anno negli Stati Uniti i prestiti agli studenti sono saliti del 25% a 75,1 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, però, i college americani prevedono un drastico calo degli iscritti e un aumento dei ritiri proprio a seguito dei problemi economici degli studenti. D’altra parte i debiti, anche se per l’istruzione, vanno pagati prima o poi.
Al settimo posto c’è il timore di una bolla subprime2, la vendetta. D’altra parte restano in giro dei mutui subprime che sono stati rimpagghettati dalle banche e così via…
Ottava in classifica la bolla delle assicurazioni sulla vita. Le aziende americane hanno assicurazioni sulla vita dei loro dipendenti e stanno pensando bene di usare quella liquidità per fare altro. Ma poi quando i dipendenti a fine rapporto di lavoro passeranno all’incasso quei soldi ci saranno ancora?
L’immobiliare del settore commerciale si guadagna un bel nono posto. Gli affitti non pagati negli Usa sono saliti al 4,1% dal 2,25% del primo trimestre dell’anno e i prestiti per gli immobili commerciali non onorati ammontano a 83 miliardi di dollari.
Last but not least è la bolla dei mercati emergenti: i mercati azionari, non solo cinesi, sono ai massimi degli ultimi nove anni con un rapporto prezzo/utili di 20 volte. Un po’ troppo anche per chi ha buone prospettive di crescita.
Una nota finale: nella classifica manca un cenno ai corporate bond, vale a dire alle obbligazioni emesse dalle aziende che continuano ad inondare il mercato. Che sia un problema tutto europeo?