Week end all’insegna del fascismo con la manifestazione di Predappio, che ha monopolizzato i social italiani, fra pro e tanti contro. Il tutto riassunto dalla signora che fieramente porta la maglietta con la scritta Auschwitzland (con font Disney) e ridendo la giustifica come “umorismo nero”. Il risveglio stamattina con il Brasile passato al Partito social liberale, con il neo presidente Jair Bolsonaro soprannominato anche il “Trump brasiliano”, ex militare schierato su posizioni fortemente conservatrici (per usare un eufemismo). E su Twitter #fascismo resta fra i trend topic a denunciare che quello che sta avvenendo non è considerato affatto “normale”.
Ma nel mare di opinioni, che ci travolgono fra off e online, forse è il caso di ripartire da qualche punto fermo. Allora stamattina ho ripassato un po’ delle leggi italiane in tema di antifascismo, nel caso magari avessi perso un colpo di spugna sulle leggi che condannavano l’apologia dle fascismo (come avevo imparato a scuola). Non sono un’esperta di legge, ma da una breve e sommaria ricerca pare che certi capisaldi sopravvivano e allora li ho voluti mettere in fila per fare un po’ di ordine:
- La XII disposizione transitoria e finale della COSTITUZIONE Italiana vieta la riorganizzazione del partito fascista: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. (1° gennaio del 1948)
- La LEGGE SCELBA (20 giugno 1952) stabilisce inoltre all’articolo 1: “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principii, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
- PUNITO CON IL CARCERE: “Chiunque promuove od organizza sotto qualsiasi forma la ricostituzione del disciolto partito fascista a norma dell’articolo precedente e’ punito con la reclusione da tre a dieci anni”. (Legge Scelba art.2)
- APOLOGIA DEL FASCISMO: “Chiunque, fuori del caso preveduto dall’art. 1, pubblicamente esalta esponenti, principii, fatti o metodi del fascismo oppure le finalita’ antidemocratiche proprie del partito fascista e’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire 500.000. La pena è aumentata se il fatto e’ commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda”. (Legge Scelba art.4)
- LEGGE MANCINO (25 giugno 1993) ribadisce e rafforza: “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”.
Se così stanno le cose forse allora anche la signora che disse a una giovane in treno:
“Vicino a una nera non ci sto”
ha commesso un reato. Così come la signora con la maglietta del parco di divertimenti in un ex campo di concentramento. Così come i protagonisti dei dieci episodi di razzismo nelle ultime due settimane ai danni di immigrati.
Domanda a chi di legge se ne intende: ma il video della manifestazione di Predappio dello scorso week end non è notizia di reato?
Allora ha ragione la senatrice Liliana Segre: “Dopo anni ho sentito il crescere la marea dell’odio, prima piano piano”…”forse ieri i tempi non erano maturi, ma oggi purtroppo la realtà ci consegna una lista quotidiana di atti e testimonianza inqualificabili. Secondo me dobbiamo lavorare contro la fascicizzazione del senso comune, che sta appena appena un gradino sopra quell’indifferenza (mia grande nemica) che 80 anni fa ha coperto di vergogna l’Italia fascista”.
E se proprio di Auschwitz dobbiamo parlare, è il caso di farlo dando ascolto a chi lo ha vissuto sulla propria pelle, perché Liliana Segre, ricordiamolo, il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Alla selezione, ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dall’Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti.