Una Segway, una X-box o un Samsung 55 pollici curvo. Il Babbo Natale nel football americano è il quarterback. La star delle squadre di Nfl guadagna in media da uno a 13 milioni all’anno (chi ha voglia di dare un’occhiata alle cifre trova qui un magnifico schemino riassuntivo). La sua linea offensiva (offensive line), che lo difende durante le azioni di attacco, in genere ha ingaggi meno importanti (tranne alcune eccezioni). Così, da tradizione, il quarterback a Natale divide parte della sua fortuna con i suoi. In sé si tratta di poca cosa, ma quei regali negli armadietti stanno a dire: posso fare uno scramble strepitoso o un handoff perfetto ma da solo non posso portare a casa la partita.
L’epopea del football americano è entrata nel mito nel 1999 con Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”: “O noi risorgiamo adesso come collettivo o saremo annientati individualmente. E’ il football ragazzi”. Ma come ogni esemplificazione con il tempo rischia di diventare la macchietta di se stesso e si svuota. Allora torniamo al gioco, quello vero, quello sul campo. Che può insegnare più di un campo di sport estremo per tutto il management o un week end di meditazione di gruppo.
Non è tempo di regali e non è certo tempo di incentivi. In Italia, con tredici trimestri senza crescita e stime per il 2015 di leggera ripresa, è tempo però di esempi positivi, di leader che si pongano per primi nelle condizioni di sacrificio e di rinuncia perché abbiano la credibilità per essere seguiti. Dalla politica alle istituzioni, dall’imprenditoria al management. In questo momento c’è un gran vuoto di quarterback in Italia. Aspettiamo che qualcuno si faccia avanti e guidi la squadra nello “scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta”.