Un consigliere su due è al primo mandato nei board delle banche italiane. Un dato superiore alla media dei maggiori paesi europei, secondo quanto emerge dal rapporto di Key2People dal titolo “Banche europee: Bio-diversity” nella governance”, presentato ieri a Roma. «Dai dati che abbiamo analizzato, per l’Italia quasi la metà (47%) dei board member è al primo mandato, il che implica senz’altro una capacità di portare contributi più eterogenei e “freschi” all’operatività dei board» osserva Claudio Galimi, partner di Key2People.
L’identikit del consigliere degli istituti bancari in Italia, poi, ha un età nella media europea di 60 se uomo e 54 se è donna, è nella quasi totalità dei casi italiano (solo l’8% è straniero), solo nel 28% dei casi ha un background professionale nei Financial Services (contro una media europea del 44%) e nel 23% dei casi opera o ha operato nel management di una banca (contro una media del 38%). «Su quest’ultimo fronte, ci viene in soccorso la normativa che richiede oggi, tra gli altri requisiti, un’adeguata conoscenza del business bancario, delle dinamiche del sistema finanziario, della regolamentazione bancaria e finanziaria e, soprattutto delle metodologie di gestione e controllo dei rischi» sottolinea Galimi, che aggiunge inoltre: «un incremento di profili internazionali entro i board permetterebbe anche a banche con operatività principalmente locale di incorporare nella propria visione di sistema le best practice internazionali».
Sul fronte del bilanciamento di genere, l’Italia ha senza dubbio fatto progressi anche grazie all’applicazione della legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei cda. Eppure in Europa resta solo al 6° posto tra i paesi analizzati con il 23% donne nei board, ma tutto sommato molto vicina al dato medio (24,7%). «C’è ancora lavoro da fare però prima di poter raggiungere il dato francese (40%)» commenta Galimi.