In Italia sono poche, ma evidentemente negli altri Paesi europei sono ancora meno. Parlo delle donne a capo di università ed enti di istruzione terziaria. La percentuale italiana è del 23,4% contro un ben più ridotto 15,5% della media dell’Unione Europea. I dati, presentati oggi dalla Commissione europea, ci pongono così al terzo posto nella classifica. Certo il quadro generale è un po’ più desolante: l’Italia, infatti, è solo 17esima in Europa sulle spese pubbliche totali destinate alla ricerca. Siamo all’1,1% del Pil a fronte dell’1,4% della media dei 28 paesi dell’Unione europea. E la situazione non migliora granché se si guarda alla spesa totale in ricerca di settore pubblico e imprese private messe insieme: in questo caso l’Italia si piazza 16eima. Eppure il nostro Paese continua ad essere secondo in Europa sul numero di pubblicazioni per ricercatore, 4,5 in media nel periodo 2000-2011 a fronte delle 2,98 dell’Ue. Mancano i soldi, ma non certo le idee.
Investimenti pochi, quindi. E questo si sa da anni. Il dato nuovo, forse, è quello sulla presenza femminile, soprattutto se si parla di posizioni di vertice. Le donne nella ricerca certo non mancano, ma abbiamo sempre avuto la percezione che faticassero a fare carriera. Nel caso dei ricercatori esperti, però, l’Italia si piazza all’ottavo posto in Europa con una quota del 20%. La spinta che viene dal passo è, d’altra parte, molto forte, come anche in altre professioni come l’avvocatura o la magistratura. Le donne con dottorato di ricerca (PhD) superano il numero degli uomini: 53,2% in Italia contro il 47% europeo. Numeri, questi ultimi, che fanno immaginare un panorama diverso per il futuro, anche solo per una questione di percentuali.