Il semestre italiano alla presidenza dell’Unione Europea è anche il semestre delle pari opportunità. E ad aprire i lavori è stato lo stesso presidente del consiglio Matteo Renzi mercoledì in occasione della conferenza “Promoting gender balance in decision making”. In quell’occasione è stato fatto il punto della situazione su diversi temi e il bilancio è risultato con luci ed ombre. Certamente la legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate e nelle controllate pubbliche, a distanza di due anni dall’entrata in vigore, ha iniziato a dare i suoi frutti, ma restano ancora in sospeso diverse altre questioni e la mancanza di un ministro per le Pari Opportunità non aiuta.
Partiamo da dati concreti, almeno sulla prima questione. LA percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate ha raggiunto nel 2014, dopo l’ultima tornata di assemblee, il 21,95% secondo i dati elaborati da Paola Profeta, professore associato di Scienza delle finanze all’Università Bocconi. Un dato superiore agli obblighi di legge (un quinto al primo rinnovo, quindi più o meno il 20%), non supportato però da un eguale crescita della presenza di donne nel ruolo di amministratore delegato: in questo caso, infatti, la percentuale è solo del 2,3%, anche se si è registrato un incremento delle donne presidenti (7,4%) anche grazie alle nomine dei grandi gruppi partecipati dal ministero del Tesoro, come Enel, Eni e Terna. . “La presenza equilibrata di uomini e donne nei contesti decisionali permette di bilanciare i diversi punti di vista e, come dicono molti studi, di assumere scelte migliori. Insieme alla Bocconi il Dipartimento Pari opportunità sta verificando se nei contesti in cui la legge che ha introdotto quote di genere la presenza delle donne ai vertici sta cambiando il volto di quelle società e in che modo” commenta Monica Parrella, direttore generale, coordinatrice dell’ufficio per la parità e le pari opportunità della Presidenza del consiglio.
Gli organi delle controllate pubbliche, invece, presentano una percentuale inferiore;: 14% nei cda e solo 8,8% nelle società ad amministratore unico. “Le quote di genere nei cda – continua Parrella – servono perché l’esempio dei vertici può essere di ispirazione per tante donne nella pipeline a non tirarsi indietro e ad aspirare a posizioni di maggior rilievo. Naturalmente a questo dovrebbero fare da pendant policy aziendali di empowerment femminile non disgiunte da una diversa organizzazione del lavoro maggiormente flessibile e family friendly”.
Ma la questione di genere non si esaurisce qui. “Il viceministro all’economia Enrico Morando, durante il convegno ‘promoting gender balance in decision making’, ha sottolineato come il ruolo delle politiche volte a valorizzare l’occupazione femminile siano state sottovalutate con il rischio di allontanare l’obiettivo della crescita. Sono convinta che il basso tasso di lavoro femminile sia uno dei principali fattori che frenano la crescita, valorizzare il capitale femminile vuol dire farne sempre più una leva per il rilancio dell’economia del paese. Condivido, dunque, le parole di Morando e proprio per questo credo che il governo debba proporre politiche concrete per migliorare le effettive condizioni di vita e di lavoro delle donne anche dal punto di vista della qualità” ha la vice presidente del Senato Valeria Fedeli, aggiungendo inoltre: “Recentemente il rapporto Bes di Cnel e Istat ha sottolineato la crescente difficoltà delle donne con figli piccoli sul lavoro. Problemi che vanno affrontati attraverso politiche adeguate per rendere effettive le scelte di cambiamento intraprese dal governo finora: politiche orientate al miglioramento del l’accesso al lavoro e alla facilitazione dei percorsi di carriera, all’apertura a forme di flessibilità contrattuale per facilitare e valorizzare le scelte di maternità, all’incremento dei servizi alla persona e alla riforma del welfare oltre a una condivisione vera dei compiti familiari. Insomma nuove politiche che creino il presupposto per il rilancio del sistema paese con più più opportunità e più benessere per tutti”.
Sul fatto che sia necessario un ministro alle Pari opportunità è convinta l’ex ministro Elsa Fornero: “Il lavoro del dipartimento è importantissimo e una presenza politica al massimo livello farebbe bene al paese”. Fornero, poi, interviene sulle dimissioni in bianco: “Nella mia riforma del lavoro c’era una norma sulle dimissioni in bianco. Funziona? Non si sa. Ma se non sappiamo se funziona perché diciamo che serve una nuova norma?”.
A tutto questo si aggiunge la protesta di giovedì di 67 centri antiviolenza su iniziativa di Donne in rete contro la violenza: Un flash mob davanti al Ministero degli Affari Regionali per chiedere che i fondi per i centri antiviolenza “non siano distribuiti a pioggia” tra le Regioni, ma “sulla base di vincoli e criteri chiari”, perchè “tremila euro l’anno per centro non bastano”. Anche qui è attesa una decisione del governo sulla distribuzione dei fondi, che secondo le dichiarazioni di Ivan Scalfarotto nel corso di una seduta parlamentare, dovrebbe essere effettiva entro fine luglio.
Non basta, quindi, ciò che è stato fatto finora e sarebbe necessario, anche su questo tema, un colpo di reni del governo per raddrizzare la rotta.