Quando l’arte trasforma i confini del carcere (in mostra all’Oberdan)

Mineo9Silvana, Suvada, Emina, Marina e Chiara: persone, donne e madri che abitano all’Icam e che dallo scorso week end sono protagoniste della mostra Impronte Sfiorate, promossa dalla Provincia di Milano e patrocinata dal Ministero della Giustizia. Dal 4 luglio al 5 ottobre sarà possibile ammirare sei grandi installazioni realizzate dall’artista Paola Michela Mineo che costituiscono il risultato finale di un progetto durato due anni sviluppato all’interno dell’Istituto per la Custodia attenuata per Madri con prole (Icam), il primo Istituto di questo tipo realizzato in Europa.

Nato nel 2006 – in base ad un accordo tra Ministero della Giustizia, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano – con l’obiettivo di restituire un’infanzia serena a quei bambini con una madre detenuta, l’Icam oggi è un modello in espansione su tutto il territorio nazionale. Paola Mineo ha lavorato in questo contesto dedicandosi alle madri detenute, coinvolgendone in un’esperienza intensa e diretta di arte e interazione personale che ha trasformato le protagoniste da detenute in regime speciale a vere co-protagoniste di una performance d’arte contemporanea.

La ricerca artistica di Mineo trae ispirazione dall’arte relazionale e all’arte-terapia, distinguendosene però nella forma e nella metodologia. L’artista da anni ha elaborato touchArt, una forma artistica in cui la sua scultura, plasmata sul corpo del modello, diviene seconda pelle e al tempo stesso corazza; si fa calco, ovvero documento fisico, di un passaggio, la cui memoria assume forme che rammentano porzioni di sculture classiche, quasi fossero frammenti archeologici o impronte di un ricordo. Nel curriculum dell’artista, il primo lavoro sviluppato completamente con questo nuovo linguaggio multidisciplinare è stato l’installazione “Sudario”, selezionata al Premio Arte Laguna (1°fase 2012) e poi portata in mostra da Marco Testa al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (MLAC) dell’Università Sapienza di Roma nel 2013 nella mostra Voci dell’arte contemporanea a Roma.

In questo caso, però, le protagoniste sono le madri dell’Icam, che si scoprono e si fanno scoprire in una nuova veste.

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