Cara Littizzetto, sulle quote hai qualche speranza di guarigione. E noi con te

Cara Luciana,

Littizzettodomenica nel tuo intervento  a Che tempo che fa mi ha colpito lo stato di prostrazione che ti affligge da quando hai scoperto di essere d'accordo con Daniela Santanché sulle quote di genere. Provando una naturale simpatia nei tuoi confronti, e forse anche per solidarietà femminile, vorrei provare a trovare la via per toglerti dalle ambasce.

E' innegabile che tutte le donne intelligenti e capaci trovino le quote di genere uno strumento odioso e di cui farebbero volentieri a meno. D'altra parte, però, pare sia innegabile che viviamo in una società non basata sul merito. Le donne sono poco più del 50% della popolazione eppure nei posti di comando, siano essi in politica o in economia, rappresentano sempre percentuali esigue. O si suppone che siano più numerosi gli uomini intelligenti e capaci oppure esiste una qualche stortura del sistema per cui donne capaci e intelligenti vengono tagliate fuori.

 

Il problema non è solo italiano, tanto è vero che il World Economic Forum redige annualmente il Global Gender Gap Report. E forse non è un caso che non rediga il Global Gay Gap o il Global Foreign Gap o il Gobal Opossum Gap. Perché le donne non sono una specie in estinzione, come dicevi tu, ma più della metà della popolazione mondiale. Per questo è eclatante la loro esclusione.

GABRIELSEN-D-listeingress-ansgar-dTanto che in Europa l'idea delle quote non è venuta a un leader di sinistra dei Paesi del Mediterraneo dove le donne hanno più difficoltà per fare carriera, ma a un tale Ansgar Gabrielsen, ministro conservatore del Commercio e dell'industria in Norvegia che non riusciva a capacitarsi del fatto che dopo 25 anni di parità nelle percentuali di laureati, solo pochissime donne sedessero nei consigli di amministrazione. "Nella mia esperienza nel mondo della finanza, ho visto come vengono scelti i membri dei board: vengono tutti dallo stretto ristretto circolo di persone. Vanno a caccia e pesca insieme, sono amici" osservava Gabrielsen. In Italia forse non è caccia e pesca, ma vela e sci, comunque il concetto non cambia. Era il 2002 e la Novegia ci provò con le buone, suggerendo alle società di incrementare il numero di donne nei cda. Quattro anni dopo, visti gli scarsi risultati, decisero di introdurre le quote (40%) per legge. Evidentemente anche nel nordico Paese gli uomini faticano a cedere la poltrona. La Norvegia aprì così la via. L'anno successivo arrivò la legge in Spagna e nel 2011 toccò a Francia e Italia. In Germania il dibattito è molto acceso e in Gran Bretagna il governo ha fatto stilare un rapporto sul tema per sottolineare come il problema sia effettivo e si debba provvedere. Non per una questione filosofica di parità, ma perché studi dimostrano come team misti abbiano risultati migliori rispetto a team omogenei. Quindi la carenza di donne nei cda è diventata una questione di risultati economici e finanziari. Non perché le donne siano meglio degli uomini, ma perché il mix (un po' come fra te e Fabio Fazio) funziona meglio.

In Italia, poi, è la Costituzione che ci "impone" la parità nell'articolo 3 e al comma due viene precisato che non si deve trattare di parità formale, ma di parità sostanziale. Non basta, quindi, che non ci siano impedimenti legali all'ingresso delle donne, ad esempio, nelle liste elettorali (articolo 51). E' necessario che siano rimossi anche ostacoli di ordine economico e sociale. La Costituzione contempla, quindi, le cosiddette "affirmative action", uno strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. Tanto è vero che la legge 120 del 2011, quote di genere nei cda, è in vigore e non è mai stata dichiarata incostituzionale.

D'altra parte le laureate superano in numero da anni i laureati, finiscono il corso di studio prima e con voti migliori. Nei posti che si occupano per concorso le donne riescono così a farsi valere, tanto è vero che negli esami per l'avvocatura e la magistratura, ad esempio, superano la percentuale degli uomini. Nei cda, così come in politica, però, non si entra per concorso, ma per cooptazione (come ci spiegava il buon Gabrielsen). Solo che la cooptazione finora ha lasciato fuori metà dei talenti del nostroPaese.

 

Come, poi, osservavi tu la politica non è l'unico ambito in cui le donne fanno fatica. Ma come nelle aziende, le donne ai vertici cambiano i parametri dell'organizzazione e promuovono una struttura più women friendly, forse più donne in politica permetterebbero una maggiore attenzione per istanze che ci stanno a cuore.

 

Certo potremmo aspettare l'evoluzione naturale. Per raggiungere la quota del 30% di donne nei cda avremmo dovuto aspettare circa 50 anni, in politica anche di più se non ci fosse stata la decisione interna a qualche partito (Pd). Fra le altre obiezioni, poi, c'è quella che non si trovano donne preparate o che le donne non siano sufficientemente ambiziose. Eppure se prendiamo l'esempio della Cgil, dove è dal 1996 che sono previste quote di genere del 40%, abbiamo la conferma di come le quote portino a risultati concreti. Susanna Camusso alla guida del maggior sindacato italiano non è, infatti, frutto del caso. E non è certo una velina.

Lo so, tu hai paura, visto i trascorsi italiani, proprio della calata delle veline. C'erano gli stessi dubbi con l'approvazione delle quote nei cda. In realtà ad un anno dall'entrata in vigore i dati smentiscono questi timori: le donne entrate nei board sono più giovani (rispetto alla media dei 60enni uomini!), con un livello di educazione maggiore e hanno più frequentemente esperienze all'estero. Studi dello Sda Bocconi hanno dimostrato come la qualità dei nuovi ingressi abbia portato un miglioramento complessivo dei board grazie a un circolo virtuoso. Ad oggi non si sono viste nei cda signorine senza arte né parte sedersi accanto a manager blasonati, anzi. Tanto più che le donne tendono a prepararsi e negli ultimi due anni si sono moltiplicati i corsi per donne che vogliono entrare nei board. E ora le richieste arrivano anche dagli uomini.

Dicevi che se oggi dicono "quella è arrivata per un pom … (scusa il bip, ma qui siamo sul sito del Sole24Ore e non vorrei rischiare il posto), domani diranno quella è arrivata per le quote". Credo che la maggior parte delle donne preferisca la seconda opzione, se proprio deve scegliere. Altrimenti semplicemente non si arriva, perché chi fa le liste nei partiti è solitamente un uomo (solidale di quello che sceglie in genere i candidati per i cda!). Quindi non è vero, come dicevi tu, che "ce le abbiamo le possibilità". Anche io vorrei che in Parlamento entrassero persone "brave e competenti" ed è certamente vero che "ci sono pir… (bip) uomini e pir…(bip) donne", ma perché gli uomini che siano bravi e competenti o pir… devono avere tre volte il numero delle possibilità delle donne di essere eletti?In più con le liste bloccate e senza che gli elettori possano esprimere una preferenza?

Mappa quoteE poi le deputate di bianco vestite del Parlamento italiano mica hanno inventato l'acqua calda. Dai un occhio a questa cartina. Le quote sono fissate per legge in Francia, Portogallo, Belgio, Spagna, Polonia, Lussemburgo, Grecia, Irlanda e Slovenia. La percentuale stabilita dalle quote varia nei diversi paesi e dipende dal sistema elettorale. In Svezia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania le quote di genere sono adottate dai partiti, e non sono stabilite per legge, secondo i report di Global Database of Quotas for Women.

Cara Luciana, tutto questo per darti una speranza. Puoi guarire e non trovarti più della stessa opinione della Santanché. Questo "pippone" è per te, perchè tu possa ritrovare la serenità, ma anche un po' per noi, perché chi fa il tuo lavoro (come Crozza, che invece è a favore delle quote) fa la cultura di un Paese a volte più delle scuole e dei giornali. Quindi se guarisci tu, forse abbiamo qualche speranza in più anche noi.

Con affetto

Monica

 

 

  • Monica Pesce |

    Grazie Monica per aver ricordato che l’introduzione delle quote di genere non solo non ha portato incapaci nei CdA, ma ha al contrario elevato l’attenzione con la quale vengono selezionati i CV femminili…e maschili.
    E hanno contribuito anche a far uscire tante donne di qualità ed eccellenti dal limbo della timidezza da “minoranza perenne”, spingendole a dichiarare le loro ambizioni e capacità.
    In realtà la quota di genere è un punto di partenza, ora sta alle donne che sono entrare in un CdA contribuire al cambiamento culturale e sostanziale!

  • Fabiola bertinotti |

    Supporto il punto di Monica. C’e’ un mondo di donne in gamba, executive puntigliose, coscienziose e gran lavoratrici che possono dare un contributo concreto al nostro Paese.
    Ora piu’ che mai il concetto di “diversity” e’ tutelato in tutte le societa’ civili e nelle aziende piu’ evolute.
    E’ importante che l’Italia stia al passo con i tempi, a partire dal fondamentale equilibrio che nasce dal mix di talenti/qualita’ di uomini e donne.

  • Donatella |

    Cara Monica grazie per aver ripreso le dichiarazioni di Luciana come spunto per ricordare a tutti noi la “storia” delle purtroppo necessarie quote rosa. Già il concetto di quota e’ una distorsione del principio di diritto e democrazia che vede nella nostra Costituzione pari spazi per uomini e donne. La nostra nazione e’ oggettivamente arretrata nell’ utilizzo delle proprie risorse migliori e sperare che il merito, l’etica e la correttezza siano sufficienti a consentire a tante donne di valore l’ascesa a ruoli di regia e’ ingenuo o può mostrare malafede. Perché alcune donne di successo faticano a ricordare la fatica fatta per “arrivare” sempre superiore a quella di molto uomini? Perché la grande ritrosia a riconoscere che viviamo un sistema di cooptazioni maschili (sono maschi coloro che permettono l’ascesa di altre e di altri)? Perché ancora non tutte noi capiamo che solo essere unite, anche essendo generose nei confronti delle altre, possiamo diventare forti? Perché non ci rendiamo conto che il dubbio instillato da una di noi, magari simpatica e famosa, distrugge il lavoro di tante altre e crea danno? Perché non voltiamo pagina e siamo unite e strette strette a sostegno della democrazia paritaria del nostro paese? Perché non riconosciamo che solo dopo la legge sulle quote le aziende si stanno adoperando per inserire donne nei cda e tutte queste sono di tale livello da innestare un circolo virtuoso? Perché non riconoscere che i numeri assoluti sono ancora ridicoli ( dal 7% a poco più’ del 17%)?
    Non amo il concetto di quota e’ stato necessario ricorrervi nell ‘auspicio che la transizione delle nomine femminili “ex lege” ci consenta da domani di parlare solo di valore e di valori per la crescita della nostra comunità nazionale e dell’Europa.

  • susanna zangheratti |

    se come pare i risultati dell’introduzione delle quote rose sono positivi, favorendo la meritocrazia e la salute delle imprese/partiti, mettiamo da parte i comprensibili timori che anche io avevo…e che quote siano!

  • Chiara Di Cristofaro |

    Non ho sentito l’intervento della “Litti”… e devo dire che ultimamente ho dei dubbi sull’utilità delle quote rosa, proprio temendo la calata delle veline (o come è successo delle mogli-amiche-amanti….)
    Detto questo, sono anche convinta che se aspettiamo il cambiamento culturale in questo Paese forse non lo vedranno neanche le nostre figlie. Le argomentazioni di Monica sono piuttosto convincenti… Quindi, se può aiutare, quote rose siano!

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